Nel continuare ad osservare la ‘fortuna’ del Sarno nel contesto della pittura, già esaminata nei suoi contributi settecenteschi e primottocenteschi, gettiamo uno sguardo, ora, sul prosieguo dell’’800 e sul ‘900
La visione ottocentesca del Sarno è quella che oscilla tra documentazione territoriale e costruzione di una imagérie che segue il corso di una profilatura della realtà che sa rendere in qualche modo trasfigurata la consistenza oggettiva di questo corso d’acqua che attraversa, nel suo tratto finale, le terre che furono quelle della epopea vesuviana.
In qualche modo, insomma, questo piccolo fiume campano si ammanta di una storia lunga e preziosa, che àncora i suoi trascorsi in una regione lontana del tempo.
Senza considerare altri contributi importanti alla rappresentazione del Sarno ed avendo conto anche del ruolo che man mano il fiume acquista anche nel contesto della economia locale, possono essere considerate alcune sue raffigurazioni ottocentesche tra le quali spiccano, ad esempio, quelle che ritraggono il corso d’acqua nel suo attraversamento della cittadina di Scafati, prima di giungere alla sua foce quasi di fronte allo Scoglio di Rovigliano.
Della progressiva acquisizione di una vocazione latamente industriale di questa area fluviale, almeno nel suo tratto conclusivo e finale, giunge la testimonianza figurativa resa dall’attività creativa di Johan Christian Dahl così come quella che ci viene attraverso la restituzione di alcune immagini – nella specie – anonime che illustrano, rispettivamente, l’area del molino Bottaro ed il complesso delle Manifatture Meyer di Scafati (1855). Va osservato che queste immagini, peraltro, costituiscono un contributo particolarmente significativo all’approfondimento di studio del tema del Paesaggio Industriale.
Il secolo dell’ ‘800 ci ha lasciato, insomma, numerosissime immagini di questo territorio e di questo ambito specifico, immagini che oscillano dalla profilatura più strettamente documentativa che, abbiamo appena illustrato, ad una sensibilità, invece, più significativamente preromantica che ancora agisce, in autori come Dahl, ad esempio, nella cui vena creativa è ancora viva una sensibilità settecentesca, che tanto significativamente caratterizza soprattutto l’arte nordeuropea (Dahl, non a caso, è un artista di origine norvegese, prossimo, peraltro, alla sensibilità figurativa tedesca secondo l’orientamento stesso di Friedrich, ad esempio).
Se questo è, sostanzialmente il portato complessivo della temperie primottocentesca, ancora fortemente ispirata di sensibilità tardosettecentesche e preromantiche, non meno significativo si annuncia il contributo che fornisce l’avanzamento del secolo, che, grazie ai contributi di artisti come Giovanni Serritelli, Filippo Palizzi o come Rubens Santoro, produce un’immagine molto accattivante e suggestiva dell’area del bacino del Sarno, di cui viene presentata anche una prospettiva al cui interno la figura umana agisce in modo caratterizzante e connotativo, come è possibile osservare, ad esempio, nella figurazione resa da Filippo Palizzi della ‘Lavandaie di Scafati’, che ci offre una visione ‘in ferma’ di tempo, perfettamente consona con quella capacità di analisi – quasi di tipo antropologico – che pienamente si spiega secondo gli orientamenti positivistici che governano la temperie naturalistica, di cui l’artista di cui discutiamo è pieno ed avvertito esponente.
Una sensibilità più pronunciatamente storicistica, che quasi richiama la già precedentemente citata personalità del Fergola (cfr. la prima parte di questo ns. contributo, già pubblicata) è ciò che apprezziamo nel dipinto che Giovanni Serritelli offre a metà del secolo (1857-58) sul tema di un intervento correttivo operato nel corso stesso del fiume, in un’opera, quindi, che si afferma per la visione complessiva e gioviale di una coralità ambientale in cui quasi sembrano fondersi le energie della natura e quelle degli uomini.
Ed a far affermare ulteriormente un’immagine particolare ed accattivante del fiume giungerà, non meno significativo, l’intervento di Rubens Santoro che definisce una visione umbratile e misteriosa del contesto del Sarno, al cui interno si fa strada quella sensibilità dolcemente e morbidamente lanosa che distingue la pittura di questo artista che va a consegnare, complessivamente, il testimonio dell’’800 al subentrante secolo del ‘900.
Qui, nel nuovo secolo, la pratica figurativa si diffonde in numerose prove che vengono rese da tantissimi artisti, tra i quali ci piace ricordare almeno le figure di Francesco Filosa di Castellammare come di Antonio De Angelis.
Il primo dei due, raccogliendo l’eredità ottocentesca, innova la prospettiva vedutistica tardoromantica in una sorta di consapevolezza di una nuova coscienza ambientale (che non è ancora una coscienza ‘ambientalista’, ovviamente), mentre Antonio De Angelis, portandoci a contatto diretto con la foce del Sarno, sembra voler lasciarci anche la testimonianza di un punto di arrivo del nostro percorso, diffondendosi a tracciare una figurazione ammorbidita e diafana che rende in termini di sensibilità maturamente ‘chiarista’ il significato di approdo al grande bacino marino delle acque di un fiume di cui ormai, nell’immagine, diviene difficile riconoscere lo stesso punto di sbocco nel mare.
(Nelle due parti di cui si compone questo nostro contributo, abbiamo potuto fruire delle immagini provenienti da varie fonti della Rete, alcune di dichiarata possibilità di pubblico prelievo, altre da siti che qui richiamiamo, rendendo merito al loro impegno scientifico e divulgativo, particolarmente prezioso sul piano documentativo per l’impresa di chi – ed è questa la fattispecie che ci distingue – fornisce il proprio sforzo di ricerca al di fuori dei circuiti commerciali e senza finalità di lucro.
Grazie, quindi all’Amministrazione Centrale dei BB.CC. a Bankitalia, a www.sarnotelling.com, a pinterest, a Liberoricercatore.it, a Catawiki, a Fondazione Zeri, a Museo di San Martino di Napoli. Confidiamo di non aver omesso alcuno, ma, se così fosse, chiediamo scusa per averlo fatto preterintenzionalmente. L’utilizzo delle immagini, non è di carattere esornativo, ma documentativo, apparentabile alla breve citazione di testi, ampiamente consentita come corredo indispensabile per l’argomentazione di tesi di studio).