Il più grave errore giudiziario della storia: la crocefissione di Gesù
Nello scrivere “L’elogio dei giudici scritto da un avvocato” Piero Calamandrei auspicava che nelle aule di giustizia il crocefisso non fosse collocato alle spalle dei giudici, bensì di fronte a loro, per ammonirli del più grande errore giudiziario della storia. “Si vorrebbe che fosse collocato proprio in faccia a loro, ben visibile nella parete di fronte, perché lo considerassero con umiltà mentre giudicano, e non dimenticassero mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente”. (Piero Calamandrei – Elogio dei giudici scritto da un avvocato).
Il giudizio di Gesù Cristo è il processo più famoso della storia, poiché conosciuto da chiunque, anche chi non è giurista o appassionato di cronaca giudiziaria. Protagonisti del più grave errore giudiziario di sempre sono l’imputato Gesù di Nazareth, che di certo non abbisogna di presentazioni, ed il suo Giudice, il Procuratore Romano della Giudea Ponzio Pilato.
Il personaggio di Pilato ai più non desta simpatia, complice anche la viltà di cui è stato tacciato. Il gesto di lavarsi le mani e di lasciare un innocente al supplizio della crocifissione, pena prescritta per i delitti della massima infamia, secondo il diritto romano, ripugna le coscienze di tutti. Dante Alighieri, secondo l’interpretazione di alcuni critici, colloca Pilato nel III canto dell’Inferno, dedicato al girone degli ignavi.
«Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto / vidi e conobbi l’ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto.» scrive dante nel terzo canto dell’inferno, vv. 58-60. Per molti studiosi, tra cui spicca Giovanni Pascoli nel suo scritto “ Sotto il velame. Saggio di un’interpretazione generale del poema sacro”, pubblicato a Messina nel 1900, poi ristampato prima nel 1912, e poi nel 1952, sostiene che in realtà l’uomo del gran rifiuto è Ponzio Pilato (sul punto si veda l’articolo di Amerigo Iannacone “‘il gran rifiuto’ fu di Celestino V o di Ponzio Pilato?).
Tuttavia, la letteratura del Novecento ha cercato di dare una diversa immagine di Ponzio Pilato, cercando di capire e comprenderne la figura (nonché il suo personale dramma) andando oltre la riduttiva immagine del più grande ignavo della storia. Il primo ad occuparsi di Pilato è stato il Premio Nobel francese Anatole France, nel suo libercolo “Il Procuratore della Giudea” del 1902, pubblicato in Italia dalla Sellerio grazie alla lungimiranza di Leonardo Sciascia, che lo definì un <<apologia dello scetticismo>>.
La vicenda ambientata a Baia, si svolge molti anni dopo il processo a Gesù. Elio Lamia, vecchio funzionario romano, è seduto a leggere su di un muretto quando vede passare accanto a sé degli schiavi con una portantina. Guardando la lettiga, Lamia riconosce il suo vecchio amico Ponzio Pilato, colpito dallo sfavore dell’imperatore e per questo ritiratosi a vita privata. La sera i due si ritrovano a cena per ricordare il loro passato.
Il Pilato di France è un uomo stanco e disilluso, che ancora cova disprezzo per gli Ebrei e per la loro condotta quando egli era Procuratore della Giudea. «Si dilaniano tra di loro persino per l’interpretazione della stessa legge… disconoscono la filosofia e non tollerano la diversità delle opinioni… covando la rivolta nei loro animi accesi. Un giorno o l’altro faranno esplodere contro di noi un tale furore di fronte al quale la collera dei numidi e le minacce dei parti parranno come capricci di bambini» dice Pilato.
Il culmine della conversazione arriva quando Lamia chiede a Pilato se si ricorda di un certo Gesù di Nazareth ed allora Pilato, con grande disappunto del lettore, ammette di ricordare proprio nulla. Per quanto possa apparire incredibile, il giudice del più importante processo della storia non ha memoria del suo imputato, della sua vicenda e della sua tragedia. Il lettore rimarrà ancora spiazzato quando, sul finire del dialogo, Lamia incalza ancora Pilato dicendo “Si faceva chiamare Gesù il Nazareno, e fu crocifisso non ricordo per quale delitto. Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?”
La reazione del Procuratore Romano è a dir poco incredibile: “Ponzio Pilato aggrottò le sopracciglia, si portò la mano alla fronte come chi vuole ritrovare un ricordo. Poi, dopo qualche istante di silenzio: “Gesù?” mormorò “Gesù il Nazareno? No, non ricordo””. In un mondo, dove già allora si era disposti ad uccidere ed essere uccisi per la religione, basti pensare alla rivolta giudaica del 66-70 Dc o alle persecuzioni dei cristiani, una simile amnesia appare inimmaginabile.
Totalmente opposta è l’immagine di Ponzio Pilato offerta da Michail Bulgakov ne “Il Maestro e Margherita” del 1940. Romanzo talmente geniale ed originale che cercare di incasellarlo in una categoria letteraria sarebbe fin troppo riduttivo. Accanto alla storia principale, incentrata sulla comparsa del Diavolo nella mosca degli anni 20, si sviluppa un’altra trama (oggi la si definirebbe spin-off) incentrata sulla passione di Cristo, vista però dal lato di Pilato.
“Al mattino del giorno quattordici del mese primaverile di Nisan, avvolto in un mantello bianco foderato di rosso, con una strascicata andatura da cavaliere, nel porticato tra le due ali del palazzo di Erode il Grande, entrò il Procuratore Romano della Giudea, Ponzio Pilato” (Michail Bulgakiv – “Il Maestro e Margherita”). Il dialogo tra Jeshua Ha-Nozri (Gesù) e il Procuratore della Giudea ha dei toni drammatici, con Jeshua percosso violentemente da un centurione, che lo ammonisce di rivolgersi al Procuratore di Roma chiamandolo “egemone”.
A confrontarsi non sono solo due persone, bensì l’individuo da un lato ed il potere dall’altro, con i suoi titoli, la sua legge ed anche le sue prepotenze. Il Pilato di Bulgakov è un uomo roso dal dubbio e dall’incertezza. Oppresso dall’idea di non essere in grado di reggere il confronto con la storia e costretto allo strazio per il dramma che si sta consumando davanti ai suoi occhi.
Il Procuratore di Roma, distrutto dall’emicrania cronica e incapace di provare affetto per gli uomini, legato sentimentalmente solo al suo cane, Bangà, si contrappone a Jeshua, uomo calmo e che possiede una sconfinata fiducia nella bontà degli uomini. Nonostante comprenda di trovarsi di fronte un uomo innocente, Pilato non può sottrarsi ai voleri del Sinedrio e di liberare il criminale il criminale Bar-Rabban. Scelta che altro non fa che alimentare il rimorso e lo strazio del magistrato romano e che sarà uno dei leitmotiv del romanzo.
Infine, terza e forse la più affascinante delle opere su Ponzio Pilato vi è quella di Roger Callois, raffinato saggista e studioso di miti che negli anni 60 pubblicò il suo unico romanzo, intitolato non a caso “Ponzio Pilato”. Caillois incentra il suo romanzo sulle ventiquattro ore che intercorrono tra l’arresto di Gesù e la decisione da prendere. Particolarmente interessante è il colloquio che Pilato ha un tale Marduk, una sorta di profeta del deserto, il quale apre è una sorta di lungo viaggio visionario sulla storia del mondo successiva alla morte di Gesù.
La nascita di una grande religione monoteista, i discepoli del Maestro che diffondono il suo messaggio a tutti gli angoli della terra, le persecuzioni, le eresie, i concili, gli scismi, le crociate, l’inquisizione. Tutta la storia del mondo legata ad un evento unico: la crocefissione di un uomo. Ed allora, specularmente, Caillois offre una seconda versione del dramma: cosa accadrebbe se Pilato liberasse Gesù ?
Cosa accadrebbe se il Procuratore di Roma applicasse veramente la legge e dispensasse giustizia assolvendo un innocente dalla sue accuse e liberandolo. La storia del mondo sarebbe diversa ? E che cosa sarebbe accaduto se Gesù fosse stato liberato? Dei tre autori, forse Caillois è quello che ha colto il vero dramma della vicenda di Pilato. Un uomo forse troppo piccolo per affrontare il peso della Storia o comunque incapace di adottare la scelta giusta. Che poi quale sarebbe? Far uccidere un innocente e cambiare il mondo ? Oppure liberarlo e …… chissà ?