L’Avana e Shanghai sono le prime città al mondo in cui la maggior par te del cibo consumato viene prodotto sui tetti e in orti urbani. Dal Giappone al la Thailandia, passando per New York e Parigi , dilaga la nuova agricoltura: fattorie urbane, verticali ed orizzontali , sostenibili, tecnologiche ed altamente efficienti.
Il “contadino urbano” è il nuovissimo mestiere che ha il compito di portare le fattori nel cuore delle metropoli, all’ insegna del cibo a km 0, promuovendo nuovi stili di vita e un contatto più diretto con la natura.
È il cosiddetto “urban farming”: coltivare piante ad uso alimentare all’ interno del tessuto urbano, con piccoli orti, ma anche in grandi giardini sui tetti, oppure con l’utilizzo di pareti verdi appositamente predisposte e svariate tipologie di impianti indoor (aeroponici, acquaponici o idroponici). Tecnologia e idee che permettono, a chi vive tra il cemento, di avere verdura e frutta fresca a portata di mano.
Questo concetto non è una realtà marginale: l’”urban farming” viene praticato nei paesi poveri come modello per garantire l’accesso al cibo. Il 90% dei prodotti freschi mangiati dai cittadini de L’Avana proviene da tali tipologie di orti. Analogo discorso riguarda anche città ricche e tecnologiche dove lo spazio abitativo e la disponibilità di risorse, soprattutto idriche, sono molto scarse: è il caso di Singapore. Qui il “vertical farming” impiega strutture di coltivazione al chiuso che sfruttano la luce artificiale, riducendo il ricorso alla chimica, ottimizzando il consumo idrico e consentendo una crescita delle colture rapida e la disponibilità di prodotti freschi ovunque e sempre. Inoltre, sfruttando meno spazio e meno risorse naturali e riducendo quasi del tutto la necessità di logistica e trasporto, si trasforma la città in un organismo altamente sostenibile.
Un altro esempio virtuoso è Tokyo dove è diffuso il concetto di “urban farming ground zero”. Supportati dalle autorità locali, giovani contadini urbani producono verdura, rigorosamente bio, in campi recuperati da molte zone della città. Per rendere più visibile il loro lavoro si sono accorpati in uno specifico brand: i “Tokyo neofarmers”, comunità con tantissimi sostenitori sia su Instagram, sia sulle altre social community.
Altro marchio famoso sono i “Brooklyn Grange” di New York: una galassia di campi coltivati sui tetti di alcuni grattacieli, nata nel 2010 e, oggi, la più grande company del mondo di appezzamenti sui tetti urbani. Oltre a sfornare e distribuire verdure ed erbe locali fresche, “Brooklyn Grange” ospita eventi e programmi educativi; progetta, installa e mantiene spazi verdi per clienti in tutta l’area e fornisce servizi di consulenza in agricoltura urbana, oltreché gestire un apiario urbano, con le api in dozzine di arnie disperse in tutta la città.
In Canada, a Montreal, troviamo invece la serra urbana più grande del mondo; 15 mila metri quadri di coltivazioni idroponiche in cui, al posto della terra, le piantine crescono sulla fibra di cocco e vengono nutrite con soluzioni minerali liquide ed ecologiche. Laddove c’erano uffici ed esercizi commerciali ora c’è una piantagione: l’estensione dell’area coltivata è impressionante pari a tre campi da calcio. La serra di Saint-Laurent ha altre tre sorelle: Laval, Anjou e Anhutsic.
Quattro serre urbane che sorgono tutte su tetti di edifici industriali recuperati, in cui l’azienda agricola coltiva frutta e verdura e conta oggi su circa 500 dipendenti. Un ultimo esempio, più vicino all’Italia: “Nature Urbaine”, la fattoria sospesa più grande al mondo che sorge sul tetto del padiglione 6 di Paris Expo e che entro il 2022 occuperà 14 mila metri quadrati. Le piante sono coltivate senza terra, in 700 colonne verticali e 1.500 vasi.
Grazie al sistema dell’idrocoltura, la fattoria consuma il 90% in meno di acqua e produce fino a 5 volte di più rispetto alle colture tradizionali. L’”Urban Farming” è quindi un modello di business altamente sostenibile e che concilia una migliore qualità di vita con un modello di città più ecologica e resiliente.