Primo anniversario dell’anno, dal punto di vista cinematografico. Esattamente cinquanta anni fa usciva nelle sale americane il film, diretto da Mike Hodges, che fece conoscere al mondo il talento puro di Micheal Caine. Le giovani generazioni lo identificano, e non può essere altrimenti, come Alfred Pennyworth, il maggiordomo di Bruce Wayne, nella leggendaria trilogia dedicata al cavaliere oscuro, diretta da Christopher Nolan.
Per metà ispirato dalla vita di un gangster inglese e per metà tratto da un racconto pubblicato, solamente, due anni prima dell’uscita al cinema; il film in quesitone uscì il 3 febbraio del 1971. La trama era, oltremodo, assai semplice: un uomo torna nella città di origine per vendicare la morte di suo fratello, lasciando dietro di sé una scia infinita di sangue. Ed è con questi elementi e questo plot che apparve nei cinema ‘Get Carter’, meglio conosciuto con il titolo ‘Carter’.
Come è stato accennato nei panni del protagonista un Micheal Caine superlativo, per un gangsters movie tutto britannico e che strizza l’occhio ai cugini americani. Mike Hodges realizzò anche la sceneggiatura dal racconto dell’autore Ted Lewis, ‘Jack’s return home’. Scelse, per il suo esordio assoluto sul grande schermo, una storia complessa, piena di violenza e di amoralità, in cui si scava nella crisi della società dell’epoca all’immediata fine degli anni ’60.
Micheal Caine, proprio con il ruolo di Frank Carter, con il suo modo di porsi davanti alla telecamera, la sua costruzione del personaggio, il suo sguardo freddo e determinato lo porterebbe, involontariamente, ad anticipare alcuni film che uscirono successivamente in quegli anni. Si pensi all’ispettore Callaghan, proprio del 1971 e al Giustiziere della notte, con Charles Bronson, nel 1974. Ovviamente è una nostra impressione e di sicuro questa ipotesi non farà scuola in nessun testo di letteratura cinematografica.
Eppure Micheal Caine si muove, quasi, come un novello giustiziere; mosso, sempre quasi, da nobili motivi. Il personaggio che interpreta, in realtà, è anche lui parte integrante del sistema criminale inglese e si muove con ulteriore spietatezza pagandone le conseguenze. La sua indagine lo porterà alla scoperta di un giro di film a luci rosse che, colpo di scena, è immischiata anche un’altra persona molto vicina a lui.
Il genere che gli è stato attribuito è quello di ‘thriller’, ma in alcuni tratti sembra più un noir per la lentezza di alcune scene. Un noir, però, crudo e senza possibilità di redenzione e con un finale, nonostante tutto, lascia un po’ di amaro in bocca. La storia si sviluppa in modo lineare e senza ulteriori buchi di sceneggiatura. Un film che a tratti stanca durante la visione. Nonostante ciò è diventato un piccolo cult da scoprire per tutti coloro che amano il cinema.