Il Boss non perde mai la voglia di raccontare l’America
C’è stato un tempo, quando FreeTopix era solamente un blog, che la settimana veniva aperta da una rubrica in particolare. Uno spazio che inaugurava, per modo di dire, la programmazione decisa già qualche giorno prima. Un articolo che non solo attirasse la gente a leggere quanto c’era scritto ma anche ad ascoltare qualcosa che instillava a loro la carica per affrontare nuovi sette giorni davanti a loro. Questo spazio s’intitolava ‘La canzone del lunedì’ e almeno per questo giorno della settimana più che la canzone si è deciso, per rifarsi di un siderale ritardo, di pubblicare una recensione annunciata molto tempo prima di Natale.
Era verso la metà di ottobre quando mancava poco all’uscita del nuovissimo album o anche cd di Bruce Springsteen dal titolo: Letter To You. Annunciata il 10 settembre del 2020, la nuova raccolta di inediti del Boss uscì ufficialmente il giorno 23 ottobre del 2020, precisando che il giorno 10 settembre nelle radio venne reso pubblico il singolo omonimo del nuovo album.
Dopo il successo di ‘Western Stars’ si era addirittura che lo stesso Bruce, almeno per l’anno che tutto il mondo stava trascorrendo, avesse deciso di tornare una volta che i tempi erano migliori. Si sa, però, che quando si parla del Boss niente è impossibile e soprattutto nulla è dato per scontato.
E’ tornato, dunque. Con una grandissima voglia di dire cose e raccontare attraverso la sua inseparabile chitarra. Attraverso il suo sound a metà strada, questa volta, tra alcune atmosfere personali. Il genere rock è compreso nella raccolta di nove brani inediti, più tre canzoni ripescate dal passato e non potrebbe essere altrimenti.
Abbiamo fatto riferimento alle atmosfere del suo nuovo lavoro. Quelle personali, del primo ‘Springsteen’. Quelle degli esordi s’intende e quelle ispirate da altri grandi, sempre delle sette note, ammirati dallo stesso rocker americano, come l’icona della musica folk: Bob Dylan.
Questo nuovo progetto musicale, secondo alcuni, forse rappresenterebbe il seguito del precedente ‘Western Stars’, pubblicato giusto l’anno scorso. Un progetto musicale nato proprio alla fine del 2019. Quando la pandemia era un incubo sconosciuto. Le canzoni sono state registrate a casa di Bruce Springsteen, il quale si è valso della presenza del suo storico gruppo musicale al completo, la E-Street band.
A produrre il disco è tornato in sella, dopo molto tempo, Ron Aiello, lo storico produttore dei suoi primi successi. Contemporaneamente all’uscita del nuovo cd sulla piattaforma streaming Apple Tv, è stato reso disponibile il documentario omonimo in cui si racconta il backstage e si esplica l’idea di base di questa nuova raccolta per la maggior parte d’inediti.
Una tracklist composta da: One minute you’re here; Letter to you; Burnin’ Train; Janey needs a shooter; last man standing; The Power of prayer; House a thousand guitars; Rainmaker; If I was the priest; Ghosts; Song for orphans; I’ll see you my dreams. Facendo ordine, però, le tracce numero 4, 9 ed 11 sono quelle rimaste nel cassetto del Boss per quasi cinquanta anni.
Non ci sono brani potenti come ‘Born In the Usa’ o ‘Dancing in the dark’ oppure ‘Human Touch’, ma i singoli completano, anche questa volta, la missione musicale del cantante di origine italo-irlandese: quella, non solo di narrare gli Stati Uniti d’America, ma di alimentarne il sogno.
Un sogno che in questo lavoro diventa inevitabilmente malinconico. Forse per gli anni che passano o forse anche per alcune persone che non ci sono più, come le colonne portanti della sua band: il sassofonista Clarence Clemons ed il batterista Danny Federici.
Il brano che dà il titolo all’album si riferisce proprio a loro ed anche ad altri compagni di viaggio del boss, meno conosciuti e sfortunati che non hanno ottenuto il successo che meritavano, come George Theiss. Quest’ultimo era il fondatore dei Castiles, primo gruppo di Springsteen, morto nel 2018. Da quello che si è potuto appurare a questa figura, poco conosciuta per noi, gli sono state dedicate non una ma ben due canzoni: ‘Ghost’ e ‘Last Man Standing’.
Ballate e poesie, quindi. Musica e parole si fondono in un unico suono che si segue dall’inizio alla fine, dal primo all’ultimo brano. Un sound, il suo, ancora inconfondibile. Dove il tono di voce diventa, in occasione di ‘I was a priest’ del 1974, un predicatore religioso; polemico, quasi, in ‘Rainmaker’ dove nel testo si fa un chiaro riferimento ad un affabulatore di masse. Forse un indiretto riferimento a Donald Trump?
Mero cantastorie in ‘Janey needs a shooter’, del 1972, e in ‘Song for Orphans’ del 1971. Nel primo singolo menzionato si racconta la storia di una ragazza che ha avuto molti uomini e le cui atmosfere richiamano il primissimo album pubblicato. Secondo alcuni ‘Janey needs a shooter’ è considerata la migliore. Non è da sottovalutare nemmeno ‘Song for Orphans’: una bella ballata alla Bob Dylan in cui la nostalgia, non solo come testo ma anche come costruzione musicale, emerge ancor di più rispetto alle altre canzoni.
Invece in ‘One minute you’re here’ oltre alla nostalgia, i ricordi di un tempo passato, emerge anche il concetto della morte con la metafora del treno. Canzone che si potrebbe collegare, forse, alla terza traccia ‘Burnin train’.
Nel complesso ‘Letter to you’ è un buon album, dove si cerca di strizzare l’occhio agli esordi, alle prime composizioni. Si ascolta senza mai stancarsi, si ascolta scoprendo i suoni tipici degli Stati Uniti d’America, quella rurale, quella delle piccole contee. Ovvero si ascolta l’anima del paese a stelle e strisce, quella sana. Un album dove la nostalgia la fa da padrona, senza mai perdere comunque la speranza.
Un album in cui la capacità di ideare e realizzare canzoni che possono rimanere nel tempo non è mai stata scalfita dall’inesorabile avanzata dal tempo. Impossibile dire che perde colpi: il vino è ancor più buono quando è invecchiato.
Un lavoro musicale che è stato riconosciuto come il più venduto del 2020 e anche in questo caso di può dire che il Boss non è tornato, ma è semplicemente presente come i grandi sanno fare.
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