Tra vittorie, sconfitte e tantissime magie in campo
Geniale. Ribelle. Per alcuni il più grande giocatore di tutti i tempi. Per altri un piccolo uomo che non ha saputo mantenere e conservare l’immagine di vincente. L’immagine pulita di chi era riuscito a fuggire dalla povertà assoluta grazie a un dono. A quel dono che lo rendeva capace di qualsiasi cosa in campo. Scommettiamo ancora adesso, nonostante l’età e gli acciacchi, che con un pallone tra i piedi gli riesce a realizzare una magia. Anzi, con un solo piede: il sinistro. Lui è l’unico giocatore, come detto ieri, capace di insidiare il trono di Pelè, ossia quello miglior calciatore di tutti i tempi. Il suo nome: Diego Armando Maradona.
In queste ore il numero 10 argentino sta raggiungendo la quota dei 60 anni di età. E anche per lui non ci si crede. Nato venti anni dopo Pelè, il 30 ottobre del 1960 a Villa Fiorito, una delle zone più povere di Buenos Aires, ‘El Pibe De Oro’, questo il suo soprannome, fin da piccolo non ha mai nascosto non solo la sua immensa passione per il calcio ma, soprattutto, anche cosa in realtà sapesse fare con la sfera. Indimenticabile quel video di quando era ragazzino, in un campetto, che palleggiava, senza mai far cadere la palla, sognando di giocare nella nazionale e vincere il mondiale. Sogni che realizzò alcuni anni più tardi.
Il palleggio lo effettuava in qualsiasi modo e con qualsiasi oggetto abbastanza rotondo. Persino con limoni, arance e palline da golf. Un dono della natura che a quindici anni, proprio come Pelè, lo fece esordire nell’Argentinos Junior. Ma i tifosi, di Diego, se ne erano accorti già qualche anno prima. Una leggenda narra che durante gli intervalli delle partite del campionato nazionale un gruppo di ragazzini entrava in campo con il compito di intrattenere i tifosi sugli spalti.
Nel vedere quel ragazzino riccio e con la palla tra i piedi i tifosi stessi volevano che non se ne andasse più dal campo. La palla non cadeva mai. Leggenda, appunto, ma vera. Come sono veri tutti i suoi pallonetti, tutti i suoi assist, tutte le sue giocate impossibili e impossibile da ricordare una per una.
Maradona in carriera non ha vinto quanto Pelé. Dopo l’Argentinos Junior viene ceduto al Boca Juniors e dopo un po’, a causa dei debiti che lo stesso club aveva contratto, sarà costretto a trasferirsi a Barcellona. Con il team catalano non brilla o meglio non vince granché. Un biennio di magie che non lo portano a consacrarsi come stella di prim’ordine nel mondo del calcio.
Nonostante ciò il suo talento era apprezzato da tempo. Fino agli anni blaugrana poteva vantare in bacheca un mondiale under 17 vinto con la sua nazionale ma, purtroppo, il ct dell’epoca, Cesar Menotti, non lo convocò per il mondiale vittorioso in casa del 1978. Neanche il 1982 gli andrà bene. Si fece espellere contro il Brasile, dopo che sulla sua strada aveva trovato un insuperabile Claudio Gentile. Il quale più con le brutte, che con le buone, lo fermò senza mezze misure.
Le sue rivincite sportive non tardarono ad arrivare e giunsero nella città più bella del mondo rappresentata dalla squadra che non aveva mai vinto nulla. Il Napoli, fino a quel momento dell’estate 1984, aveva conquistato solamente due coppe Italia. Con lui, in pochissimi anni divenne non solamente una squadra di vertice ma anche un team vincente e che annichiliva le grandi corazzate del nord.
Prima di far vincere il primo scudetto al Napoli nell’estate del 1986, guarda caso proprio in Messico, trionfò nel Mondiale di quell’anno. Vinse completamente da solo e regalando a tutti gli esteti del calcio non uno dei più gol ma il gol del secolo scorso. Contro l’Inghilterra partì da dietro linea di centrocampo per poi andare, dritto per dritto, verso la porta avversaria. Tutti impazzirono, compreso il telecronista argentino.
Qualche minuto prima realizzò il più grande furto della storia del calcio segnando con la mano. L’Inghilterra in quella giornata di fine giugno venne annichilita come risarcimento per l’umiliazione che gli stessi argentini subirono durante l’inutile guerra delle Faulkland. Neanche Belgio e Germania poterono nulla e Diego conquistò il suo unico mondiale in carriera.
Al Napoli regalò due scudetti, 1986-1987 e 1989-1990, una Coppa Uefa, nel 1989, un’altra coppa Italia, nel 1987, e la Supercoppa Italiana, nel 1990. Poi la sua stella iniziò ad offuscare per colpa della sua vita privata, per colpa di un grosso problema che si portava da Barcellona: la droga.
Ecco perché molti lo attaccano, ecco perché molti non lo considerano nemmeno il più forte di tutti i tempi. Al di là degli errori, macroscopici, fatti sulla sua persona prima e sulla sua carriera poi, non si può togliere ‘A Cesare quel che di Cesare’. Di certo le cadute di stile, tutte le volte che si è trovato in faccia alla mortea, i tentativi di rialzarsi, specialmente nel 1994, hanno attirato su di sé sempre forti critiche. Sempre forti attacchi.
Come detto non ha vinto quanto Pelé, non ha segnato quanto O’Rey. Sicuramente, però, ha fatto divertire di più, portando una squadra mai vincente nell’olimpo della storia del calcio. A Napoli si sentiva amato e al tempo stesso oppresso, proprio per il troppo calore che la città stessa gli donava. Un amore incondizionato e che ancora adesso, come due fidanzati, non si è mai affievolito. La sua fuga nel cuore della notte nel marzo del 1991 non ha mai spezzato il legame fra la città ed il calciatore.
La prova? Quando lo stesso Diego molti anni più tardi tornò a Napoli per la partita di addio di Ciro Ferrara, il suo compagno di squadra di quel Napoli vincente. La sua parabola sembra una leggenda di un personaggio inventato. Invece no è tutto vero. La sua storia, le sue vittorie e i suoi drammi personali. 60 anni, dunque. 60 anni da celebrare e da festeggiare e se, almeno per qualcuno, non è il miglior giocatore per come si è comportato e per i pochi trofei vinti, di sicuro il più geniale mai visto sul rettangolo di gioco. Tanti auguri, Diego.