Un romanzo psicologico sugli intrighi del potere
Era stato un uomo molto potente. Per molti, moltissimi anni. La sua carriera politica lo aveva portato a un passo dal diventare Presidente della Repubblica. Adesso, vecchio e malato, era una sorta di monumento vivente, e in tutte le redazioni dei giornali (di questo lui era certo) i «coccodrilli» dovevano essere già pronti da tempo. Eppure, da quando si era ritirato sulla costa normanna, dopo la caduta del suo ultimo governo e la sincope che lo aveva colpito, il presidente sapeva di essere strettamente sorvegliato.
Non solo da quelli che lui chiamava i suoi cani da guardia – gli ispettori che si davano il cambio davanti a casa sua dietro preciso incarico del ministero degli Interni –, ma anche dall’infermiera che lo curava, dalla segretaria, e dal fedele autista. Gli stessi (e pure di questo era quasi certo) che frugavano con accanimento fra i suoi libri e le sue carte – soprattutto dal giorno in cui aveva detto a un giornalista di aver cominciato a scrivere le sue memorie «non ufficiali»
Il Presidente è una di quelle opere che Simenon definì come “i romanzi romanzi”, per distinguerli dalla serie delle Inchieste del Commissario Maigret. Pubblicato in Francia nel 1957 con il titolo originale di “Le President”, edizione Adelphi 2007, è un romanzo psicologico incentrato su una sola figura: un ottuagenario ex Presidente del Consiglio Francese, che ha sfiorato la nomina a Presidente della Repubblica e che si è autoesiliato in una casa della campagna normanna, a Les Ebergues, dopo la caduta del suo ultimo Governo.
Il Presidente è un uomo altero, irascibile, astioso, incapace di mostrare un minimo di affetto verso le persone che lo circondano. A tenergli compagnia la sola leggenda, alla cui creazione il Presidente ha alacremente lavorato, di “politico incorruttibile, intransigente, che compiva il suo dovere senza lasciarsi condizionare da nulla”.
A vegliare sul Presidente vi è una piccola corte composta da tre medici. Una cuoca, una cameriera, una segretaria ed un autista, nonché tre ispettori di Polizia incaricati della sua sicurezza. Eppure, fra queste persone, vi è chi segretamente fruga nella sua biblioteca alla ricerca dei documenti compromettenti, sul conto di altri politici francesi, che il vecchio politico custodisce.
Tuttavia, il Presidente è consapevole di queste “accorte perquisizioni” e quindi ha preso le sue precauzioni, cambiando di volta in volta, il nascondiglio dei preziosi documenti. In particolare l’oggetto delle ricerche è un vecchio manoscritto del suo ex segretario, Chalamont, ora in procinto di divenire Presidente del Consiglio, al termine di una lunga crisi di governo che sta funestando la Francia.
Mirabile la descrizione che ne offre Simenon: “era sorprendente come, nonostante i venti anni che li separavano, il segretario avesse adottato l’andatura, la voce, le pose e persino i tic del suo capo. Al telefono la somiglianza era tale da trarre in inganno la maggior parte degli interlocutori, che lo chiamavano Signor Ministro. Ma la cosa più stupefacente era ritrovare sul viso di un ragazzo di venticinque anni l’impassibilità di un uomo maturo che aveva impiegato anni ad indurirsi. Forse era proprio per questa sorta di mimetismo, da cui traspariva un’ammirazione sincera e appassionata, che il Presidente lo aveva voluto al fianco, portandoselo dietro da un ministero all’altro, prima come galoppino, poi in veste di segretario particolare e, infine, come capo di Gabinetto”.
La Presidenza del Consiglio rappresenterebbe il coronamento della carriera per Chalamont, che ha trascorso buona parte della vita all’ombra del suo grande maestro, per apprendere tutti i segreti e le astuzie della politica. Tuttavia, l’unico ostacolo fra Chalamont e la poltrona di Presidente, potrebbe essere rappresentato da quel documento, “quel foglio, ormai ingiallito”, gelosamente custodito dal suo antico mentore. Pertanto il Presidente, convinto che il suo antico segretario si presenterà da un momento all’altro alla sua porta, per esigere la consegna di quel documento, si prepara all’incontro con il suo allievo, per il loro ultimo confronto.
Come “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, anche “Il Presidente” di Simenon è un romanzo che pone l’attesa, se non la speranza, di un evento tanto agognato, come architrave dell’impianto narrativo. L’attesa di un uomo, ormai al tramonto della vita, che aspetta la venuta di un’ombra del suo passato per chiuderne definitivamente i conti.
Questo lungo aspettare, inoltre, offre al Presidente l’occasione per passare in rivista tutta la sua esistenza, nonché per riflettere sul percorso che lo ha portato a divenire un uomo di Stato.
Il destino, come la storia, sembrano orami averlo accantonato, ma il Presidente ha in mano ancora un’ultima carta, capace di distruggere definitivamente la carriera di Chalamont, ed è pronto a giocare l’ultima mano della partita.
Simenon ci regala così il ritratto di un politico anziano e malato, che non riesce a rassegnarsi di essere stato messo da parte e che crede di poter essere ancora una volta il protagonista di quella politica di cui per anni ha mantenuto i fili.
Probabilmente ispirato, anche se l’autore negò sempre, alla figura di Georges Clemenceau, Il Presidente è un romanzo psicologico incentrato sugli uomini politici che hanno detenuto il potere nelle loro mani e che, anche a costo di farsi consumare da esso, si ostinano pervicacemente a mantenerlo, o quantomeno, sono ancora convinti di esserne in grado.
Un romanzo che dimostra quanto fosse vero il celebre aforisma di Lord Acton, “il potere corrompe, il potere assoluto corrompe in maniera assoluta” e di cui ne consiglia fortemente la lettura così come si raccomanda la visione dell’omonimo film del 1961, per la regia di Henry Verneuil, interpretato da due mostri sacri del cinema francese: Jean Gabin (il Presidente) e Bernard Blier (Chalamont).