Che il Mondiale 2006 rappresenta se non la, almeno una delle vittorie più belle, è ormai un dato di fatto. Di quella particolare spedizione azzurra, emozionante e non tanto sorprendente è ancora viva nelle nostre menti. Sono trascorsi appena quattordici anni da quella Coppa del Mondo che terminò il 9 luglio ai rigori contro la Francia. I rigori si, quei maledetti tiri dagli undici metri, che tanto ci hanno beffato sul più bello: nel ’90, nel ’94 e nel ’98. Nel 2002 fummo eliminati dall’arbitro Byron Moreno nel torneo più truccato della storia del calcio.
Abbiamo definito quella vittoria del 2006 non tanto sorprendente. In parte è vero anche se di preciso non si sa il perché. Forse dopo tante sfortune o molto probabilmente per alcuni segnali, come quello inequivocabile dello scandalo Calciopoli. Come nel 1982 e poi si sa come andò a finire anche in quell’occasione. Una certezza che si materializzava match dopo match.
Prima dell’esordio contro il Ghana il pensiero del trionfo finale era solo una speranza, ma non flebile, che si affacciava alla vigilia di ogni torneo, ma legato, proprio in quell’estate del 2006, alla coincidenza dello scandalo nel mondo del calcio italiano.
Pirlo e Iaquinta firmarono il primo successo. Gilardino siglò il vantaggio nel successivo e maldestro pareggio contro gli Stati Uniti d’America, con annessa gomitata di un giovanissimo Daniele De Rossi a McBride. Materazzi e Inzaghi piegarono la Repubblica Ceca e il girone venne superato. Gli ottavi di finale ci riportarono indietro di quattro anni. Sulla nostra strada un avversario che ci ha eliminato con la Korea. No, non l’arbitro colombiano ma il Ct olandese Guus Hiddink il quale, quella volta, allenò l’Australia.
L’espulsione di Materazzi sembrò tagliarci le gambe, ma non fu così. La spuntammo grazie a un fino ad allora anonimo terzino sinistro di nome Fabio Grosso, del Palermo. Con la sua azione personale ci permise di conquistare un calcio di rigore. Totti si accollò la responsabilità di tirare dal dischetto e non fallì l’appuntamento con la storia. E forse, quasi sicuramente, quell’utopica speranza, dopo quella rocambolesca vittoria, incominciò veramente a materializzarsi.
Ai quarti di finale c’era l’Ucraina e la distruggemmo con secco 3 a 0. Zambrotta, prima con un tiro da fuori aria, e poi Toni, con una doppietta, portarono l’Italia in semifinale contro i padroni di casa della Germania. Nessuno si accorse, però, che in quel penultimo atto del mondiale il match poteva essere la rivincita di sedici anni prima se l’Argentina, di un giovanissimo Leo Messi, non si fosse fatta eliminare ai rigori proprio dai tedeschi.
Della semifinale ne abbiamo già parlato la settimana scorsa e per molti, quel leggendario 2 a 0, rappresenta il vero atto finale che, però, si ebbe domenica 9 luglio del 2006. Gli avversari erano i francesi, diventati negli ultimi tempi la nostra vera e propria bestia nera tra Mondiali ed Europei. Per sfortuna per loro e per fortuna per noi i ‘Blues’ quella sera si sentivano troppo sicuri di loro.
È vero passarono prima loro in vantaggio grazie ad un rigore inesistente realizzato da Zidane; il fuoriclasse franco-algerino in seguito perderà letteralmente la testa negli ultimi minuti dei tempi supplementari, con il famoso episodio della testata a Materazzi, il quale firmò il gol del pareggio una decina di minuti più tardi e sostanzialmente il match finisce lì. Si, ci sarebbero da ricordare una traversa ed un gol annullato a Toni ed un salvataggio miracoloso di Buffon proprio su un colpo di testa di Zidane.
Loro erano più freschi, noi più stremati dopo l’eroica semifinale del 4 luglio. Ma dopotutto gli avversari trovarono un muro difensivo invalicabile composto, in modo particolare, dal difensore Fabio Cannavaro: denominato per l’occasione ‘Il Muro di Berlino’. I rigori ci videro finalmente vincenti. Ne segnammo cinque su cinque: Pirlo, Materazzi, De Rossi, Del Piero e Grosso. Per i transalpini l’unico che sbagliò fu David Trezeguet.
Il rigore di Grosso riportò la Coppa in Italia per la quarta volta. I 22 azzurri furono accolti come eroi e, quasi, come salvatori di un calcio che stava per crollare e che quattro anni più tardi iniziò effettivamente a collassare, non a causa dello scandalo, ma per mancanza di un vero e proprio ricambio generazionale che culminò nella mancata qualificazione ai mondiali russi del 2018.
Quattordici anni non sono ancora molti, ma inizio a non essere nemmeno pochi. Un quindicennio, quasi, che ancora oggi non ci si crede. Dovevamo essere spazzati via dagli avversari sul campo. Invece fummo noi grazie ad un vero spirito di squadra ha spazzare gli altri: avversari sul campo e detrattori fuori dal rettangolo di gioco. Fummo un team unito e applicammo alla lettera l’unione fa la forza e, molto probabilmente visto anche le coincidenze, lassù qualcuno, in quell’estate del 2006, ci amò prendendoci per mano e portandoci verso la gloria che tanto avevamo accarezzato e sfiorato negli anni precedenti.