Chissà se fosse ancora tra noi avrebbe di nuovo la possibilità di fermare la folla inferocita che in questi giorni sta imperversando in quasi tutte le città americane? Molto probabilmente, semmai riuscisse ad uscire di casa, si recherebbe non nelle zone dove le manifestazioni sono più pacifiche, ma più calde; dove tutto è stato messo ferro e fuoco. Chissà se si fosse immolato per placare gli animi di una grande nazione e democrazia lacerata dal ‘peccato originale’, come lo ha definito Biden, che non riesce proprio ad eliminare? Lui, se fosse ancora tra noi, avrebbe oggi i suoi quasi 95 anni di età.
All’epoca in una calda notte di aprile, del 5 aprile del 1968, all’età di 42 anni scendendo dall’aereo, con il quale stava raggiungendo il luogo di un comizio, decise, lui, di dare una cattiva notizia alla comunità nera di Indianapolis. Poche ore prima, relative alle 18.00 pomeridiane dello Stato del Tennesse del 4 aprile del 1968, a Memphis era stato assassinato il leader della non violenza Martin Luther King.
Le sue parole furono di conforto non solo per quella comunità in particolare, ma per tutta la nazione che si strinse intorno a lui. Placò gli animi ed ogni tentativo violento per le strade venne fermato. Ecco, in questo momento ci vorrebbe uno come lui, uno che riesce a lanciare messaggi unificatori, non come qualcuno che alimenta la violenza, non come qualcuno che, nonostante i successi dal punto di vista economico, ha tracciato una linea tra sé ed i suoi elettori. Quando lui morì due mesi più tardi, la mattina del 6 giugno del 1968, il popolo americano partecipò al suo funerale nei modi più disparati: perché tutti consideravano il Senatore Robert Fitzgerald Kennedy la vera speranza per un’America migliore.
Fu ucciso nel momento più interessante, aggiudicandosi le primarie in California per le presidenziali di quello stesso anno. Era la sera del 5 giugno, il suo avversario da battere era lo stesso che suo fratello John aveva sconfitto durante le elezioni di otto anni prima, Richard Nixon. Bobby, così chiamato affettuosamente da tutti, in quel suo discorso, a braccio, nella sala delle feste dell’Ambassador Hotel di Los Angeles toccò diverse tematiche: da quelle sociali alla guerra del Viet-Nam. Diede appuntamento per un ultimo step per le primarie, anche se ormai i giochi erano fatti, all’incontro di Chicago. I sostenitori presenti, e non solo, erano tutti festanti, speranzosi e sicuri di avere davanti il futuro Presidente degli Stati Uniti d’America.
Pochi minuti dopo aver salutato la folla, il Senatore Kennedy, fu colpito da una raffica di proiettili all’interno delle cucine dello stesso hotel. Fu una tragedia nazionale, l’ennesima di quegli anni ’60. Molti non potendo raggiungere la cattedrale newyorchese di Saint Patrick, luogo in cui si svolsero i suoi funerali, attesero il passaggio del treno che portava la sua bara.
Il treno, partito dalla ‘Grande Mela’, era diretto a Washington; esattamente ad al cimitero nazionale di Arlington, dove è sepolto il fratello. La percorrenza del viaggio normale era di quattro ore, ma in quel caldo 8 giugno del 1968, il tempo fu raddoppiato. Tutta la gente, assiepata nelle stazioni ferroviarie, lungo le strade ferroviarie, volevano dare l’ultimo saluto a quell’uomo che se fosse ancora vivo oggi, e alla faccia della sua veneranda età, avrebbe saputo come placare gli animi di un’intera nazione.